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Saint Louis, 2017. Immagini in bianco e nero raccontano lo svolgersi di una manifestazione. Dai cartelli e dai cori è evidente che si tratta una protesta contro la brutalità della polizia. In particolare, questi giovani manifestano contro l’assoluzione di un poliziotto, Jason Stockley, per l’assassinio dell’ennesimo giovane nero, il 24enne Anthony Lamar Smith. L’attenzione della camera si sposta verso un giovane di colore che indossa la maglia di Kaepernick; è acclamato dai manifestanti che lo accolgono in quello che definiscono il fronte della lotta. In sottofondo una tromba suona le note dell’inno americano; le telecamere inquadrano il giovane in primo piano e l’attenzione si sposta dalle immagini alle parole, quelle che rappa, Stand For what?! You want me to stand for a song that continues to remind me of all the harms that have done me wrong? Così inizia il video di Stand for What, un pezzo spoken word di Nick Cannon a sostegno della protesta dei giocatori NFL contro la brutalità della polizia, iniziata nell’agosto 2016 da Colin Kaepernick. Una protesta che, dopo i tweet di Trump nel corso dello scorso weekend, si sta allargando in maniera massiccia coinvolgendo un numero crescente di atleti e artisti. Tra questi Nick Cannon le cui parole e rime sono una dura critica dell’America contemporanea e del supermatismo bianco. Le immagini alternano scene di oppressione e lotta che hanno caratterizzato la storia dei neri in America, arrivando ad includere svariati esempi legati all’attualità, con particolare attenzione alla protesta silenziosa che dai campi da football si sta diffondendo ad altri sport, aprendo un nuovo fronte nella lotta dei neri in America. Even though the constitution really doesn’t apply to me I’ll try to exercise my freedom of speech.

#TAKEAKNEE

La protesta silenziosa è iniziata come azione solitaria durante la presidenza di Barack Obama; la prima volta che Colin Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49ers, ha deciso di manifestare, si è seduto sulla panchina durante l’esecuzione dell’inno nazionale prima di una partita di pre-campionato contro i Green Bay Packards, il 26 agosto 2016. Qualche settimana più tardi, il giocatore ha deciso di mettersi in ginocchio come segno di rispetto nei confronti dei veterani statunitensi; la nuova posa si è rivelata di maggior impatto, quasi iconica; altri giocatori hanno iniziato a imitarlo. Mentre la protesta si diffondeva sui campi dell’NFL, anche le critiche di antipatriottismo da parte dei fan diventavano sempre più dure.

Per tutta la stagione 2016/17 la protesta non ha ricevuto molta copertura mediatica, e solo il discorso di Trump del 21 settembre scorso, durante un intervento pubblico in Alabama e i tweet del weekend successivo, hanno riportato l’attenzione sulla protesta. I messaggi del presidente hanno affermato con forza la sua convinzione che i giocatori dell’NFL e tutti gli atleti che sostengono tale protesta, dovrebbero esser licenziati o sospesi per aver osato criticare il sistema americano. I tweet di Trump, però, non hanno fatto altro che alimentare ancor più la protesta; oltre 150 tra atleti, allenatori e proprietari di squadre, infatti, si sono espressi a sostegno di Kaepernick, denunciando le affermazioni e gli insulti di Trump come un chiaro esempio del linguaggio razzista utilizzato dal presidente con il chiaro intento di intimidire e tenere sotto controllo gli atleti neri. E in solidarietà ai giocatori dell’NFL, anche nell’NBA, nella lega di baseball e nella Nascar, ci sono state azioni di protesta.

Queste critiche arrivano dallo stesso Trump che, solo qualche settimana prima, aveva affermato che i gruppi neonazisti che avevano sfilato lungo le strade di Charlotte nel nome della supremazia bianca erano persone per bene. In pratica, Trump afferma che ai nazisti debba esser garantito il diritto di manifestare mentre gli atleti neri meritano solo di esser derisi, ridicolizzati e licenziati. Alla base di questo assurdo doppio standard troviamo il vero problema alla base della protesta: la supremazia bianca e la convinzione che la cultura, le forme di intrattenimento e la vita stessa dei neri siano di proprietà dei bianchi. Il concetto viene esplicitato da  Rashad Robinson, direttore esecutivo di Color of Change, sulle pagine dell’ HuffPost, I commenti di Trump riflettono un concezione comune che vede i neri come intrattenimento per i bianchi, e chiunque devi da questo percorso… sarà zittito.

E’ come se l’accesso al successo e alla ricchezza fossero il pegno da pagare per esser ciechi rispetto alle tematiche razziali, come se il razzismo non fosse parte della loro esperienza di vita. Nelle idee dei supermatisti bianchi, atleti ed artisti di colore, da Eartha Kitt a Muhammad Ali, da Bayonce a Jemele Hill, da Colin Kaepernick a Lebron James, dovrebbero esser grati per ciò che hanno, dovrebbero considerare le loro conquiste come il giusto compenso per stare al proprio posto. Nel mondo dello sport e dell’intrattenimento, i neri che osano condannare discriminazione e razzismo sono considerati scomodi sia dalle istituzioni che dagli uomini al potere. They may have taken the word slave out but they forget to remove the slave connotations from their brains and they mouth. Stand for What ! Essere neri e conscious è considerato un affronto alla supremazia bianca.

Alcuni individui di colore, come l’allenatore dei Browns Hue Jackson, sostengono che il campo da gioco o gli spogliatoi non siano il luogo adatto per una protesta politica. Ma quale sarebbe il luogo adatto, quando si parla dei diritti dei neri in America? Durante le manifestazioni, i giovani neri vengono etichettati come dei rivoltosi o rapinatori; nelle le manifestazioni sportive come non patriottici ed ingrati; sui social media come mine vaganti da disinnescare.

Razzismo e supremazia bianca si rivelano attraverso la violenza perpetrata quotidianamente dalla polizia nei confronti di uomini e donne nere e sono le vere ragioni alla base della protesta. Lo stesso Kaepernick sottolinea tale tesi, Non ho intenzione di riconoscere la bandiera di un paese che opprime i neri e tutte le componenti di colore al suo interno. Oltre 223 neri americani sono stati uccisi dalla polizia dall’inizio di questa protesta, nell’agosto del 2016. Per me, tutto ciò ha implicazioni più ampie del football e sarebbe davvero egoista da parte mia voltarmi dall’altra parte. Ci sono corpi che rimangono sulla strada ogni giorno e ci sono poliziotti che continuano ad esser assolti. Dalle parole del giocatore di football alle rime del rapper, il concetto è il medesimo, Slavemasters whips to Cops night sticks, that’s how you continue to beat em. Stand for what!

Anche la scena Hip Hop ha espresso tutta la propria solidarietà con Kaepernick, citando il suo nome in numerose canzoni; da Kendrick Lamar a Rapsody, da Eminem a Lupe Fiasco in Kneelin’ on Needles e JCole in Know your Rights. Rapper ed MC sono stati storicamente tra i più attivi ed espliciti nel denunciare la brutalità della polizia sin dagli anni ottanta e hanno rinsaldato i ranghi dopo l’ultimo attacco di Trump. E se Common elogia Kaepernick per aver dato visibilità e voce a migliaia di senza voce, ispirando altri a fare altrettanto, il mogul Hip Hop Russell Simmons va oltre chiedendo che la protesta sia dura, rumorosa e senza indugi.

Il razzismo ormai istituzionale nella società US permette ancor oggi che alcuni segmenti della popolazione vengano oppressi, garantisce la creazione di una gerarchia sociale che pone i neri nel gradino più basso, sempre. Il razzismo nutre la discriminazione ed è la ragione che ci spinge ad affermare che la vita dei neri è importante – Black Lives Matter. Come afferma Louis Farrakhan, a capo della Nation of Islam, A song is worth a thousand lectures, sottolineando come gli artisti e, nel caso specifico, i rapper siano in grado di dare voce alla protesta, raggiungendo migliaia di fan grazie al potere evocatorio delle loro rime. Ed ecco Nick Cannon ricordarci cosa sia davvero importante sostenere, Stand for what? I ain’t standing For Shit… except Kaepernick!